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Stambecco in Forcella Pecol
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Stratificazioni sulle famose lastre della Cima dei Preti
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Marco in disarrampicata, alle prese con l'unico passaggio di primo grado
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Il magico Cervino pordenonese: Il Duranno
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il Campanile di Val Montanaia (se guardate bene)
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Pelmo e Antelao avvolti dalle nuvole
(5 minuti di lettura)

30 Agosto 2024

Devo ringraziare mio fratello Marco se ho potuto suonare la campana di Cima dei Preti. Lui ha una wishlist di cime tecniche da raggiungere e, potendo contare sulla mia esperienza alpinistica, spesso progettiamo le nostre vette insieme. Così, un po’ più sicuro e rilassato, può salire senza vivere gli eterni dubbi che affliggono chi si avventura in cose un po’ più grandi di lui. A me queste cime gasano parecchio, soprattutto questa: ambiente selvaggio, zero persone, buon dislivello e passaggi da piede sicuro si mixano perfettamente!

I giorni di ottimo meteo entro la fine delle ferie scarseggiano, quindi il 30 agosto approfittiamo di una finestra di un paio di giorni e partiamo. La sbarra per il Parco Dolomiti Friulane alle 6 del mattino è aperta, così possiamo salire tranquilli senza pagare l’ingresso. L’escursione, come anticipato, è una figata: la Cima dei Preti, per la maggior parte della gente che conosco, è una cima da salire con un minimo di attrezzatura nello zaino (imbrago e corde) per la via normale. Ma in realtà non è così: dal fondo valle della Val Cimoliana, lasciando l’auto a Pian de Fontana a quota 930 m s.l.m., si parte e si sale per 1870 metri di dislivello positivo senza mai cambiare setup. “Basta” solo avere dimestichezza con alcuni passaggi tecnici, dove l’esposizione si fa sentire e vedere.

La salita è caratterizzata da due errori grossolani che, inizialmente, ci hanno fatto corrugare le ciglia, ma che, una volta risolti, ci hanno fatto sorridere rivelandoci qualcosa di noi. Il primo errore è stato non vedere un masso grande come una porta da calcetto, con immense scritte rosse che indicavano una deviazione a sinistra, segnale che sapevamo esserci e che stavamo attentamente cercando. La cosa buona è che l’errore ci ha portati a una cascata scenografica che altrimenti non avremmo mai visto… quindi, grazie sorte! Tornati indietro e imboccato il sentiero giusto, nemmeno 20 minuti più tardi commettiamo il secondo errore, che pagheremo un po’ di più, ma che ci farà vivere un’avventura nell’avventura.

Io e Marco siamo daltonici (ecco la verità svelata, anche se non l’abbiamo scoperto quel giorno), e un po’ detestiamo i bollini rossi, soprattutto quelli sbiaditi che sembrano colorazioni naturali della roccia, o quelli dipinti sul ramo di un pino mugo. Quel bollino decisivo, nascosto tra verde e marrone, non l’abbiamo proprio visto. Doveva indicarci una rampa erboso-ghiaiosa molto ripida, ma siamo finiti in mezzo ai pini mughi. All’inizio sembrava tutto normale: sentiero umido, scalini dal passo alto, ma nulla di strano. Col passare dei metri, però, il sentiero è diventato un tratturo di animali selvatici, sempre più stretto e ripido. Tra zaino che si incastrava ovunque, ginocchia bagnate per strisciare sotto i rami, e mille domande del tipo “Chi ha creato questo sentiero?”, “Ma dobbiamo scendere di qua?”, e soprattutto “Tra poco il limite dei mughi deve finire, ma finiremo prima noi su un dirupo?”: il dubbio cresceva.

Per fortuna, come previsto, i mughi hanno lasciato spazio ai prati, con una vista mozzafiato sulle cime. Dopo un bel sospiro di sollievo, abbiamo cercato punti di riferimento per orientarci. Problema risolto! Ora la testa era rivolta al tratto successivo: una rampa diagonale su un ripido bordo-pendio. Qui, bollini rossi e ometti ci hanno fatto impazzire: rarissimi dove servivano, abbondanti dove non erano necessari. Tra 1200 metri di dislivello già macinati e la ricerca dei segnali, non pensavamo minimamente alla stanchezza: dovevamo rimanere concentrati sul tracciato.

La felicità e la gratitudine erano comunque ben presenti! Arrivati alla fine della diagonale, ci aspetta un tratto tecnico: camminare su pendenze elevate, con fondo ghiaioso-sabbioso. Non proprio simpatico, ma la forcella era vicina, a soli 100 metri di cammino. Finalmente raggiungiamo Forcella Compol, con uno stambecco in lontananza che ci osserva!

Il tratto più delicato della giornata ci attendeva. I creatori del sentiero sono stati geniali nel tagliare orizzontalmente, con un traverso, le placche inclinate di Punta Compol. Dalla forcella: una crestina, un passaggio di 1° grado (3 metri), una cengia esposta ma ben percorribile, e un’uscita su placca rocciosa dove rizzare le orecchie. Basta! Entrando nel Cadin Alto, papaveri alpini ci davano il benvenuto, e persino uno stormo di uccellini bianco-neri simili alla Balia dal Collare si è fatto vedere, con il loro volo ondulato.

Passata l’ultima rampa ghiaiosa, che sembra impossibile ma è sorprendentemente facile, ci uniamo alla Via Normale che sale dal Bivacco Greselin. Ancora un centinaio di metri di dislivello su sentiero non impegnativo, ed eccola: la campanella della cima, pronta per farsi suonare!

La cima offre un panorama a 360°! È la più alta della provincia di Pordenone e, in quel momento, noi eravamo i pordenonesi più alti della provincia: un primato divertente! La vista sul Cervino friulano, il Duranno, è fantastica, e, nonostante le nuvole, si vedono Antelao, Pelmo e Civetta. Anche il Campanile di Val Montanaia è ben visibile da lì! Dopo una pausa rilassante sotto un sole cocente (e il rumore inaspettato di una motosega), decidiamo di scendere, con un po’ di ansia per Marco.

I passaggi descritti prima, fatti ora a ritroso, vengono affrontati con cautela, uno dopo l’altro. Ci godiamo la discesa, anche se la stanchezza e la sete si fanno sentire: l’acqua era finita da un pezzo. Purtroppo, la deviazione mattutina ci aveva fatto saltare alcune sorgenti, ma al ritorno, senza sbagliare traccia, siamo riusciti a riempire le borracce e rinfrescarci. Ritrovato quel maledetto bollino sul ramo di mugo, lo abbiamo maledetto con tutto il cuore!

Arrivati alla macchina, sudati e zuppi, dopo 15 km, 11 ore e 30 minuti di cammino, e 1870 metri di dislivello, il mio ultimo sogno della giornata stava per avverarsi: una doccia con la magica doccia portatile e sapone (biologico, scrivono). Farsi la doccia in natura dopo un’avventura così è il miglior ristoro per corpo, mente e spirito!